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Duomo di Milano

Imponente, splendido e ricco di storia, con infiniti aneddoti e curiosità tutti da raccontare. Ogni giorno si riempie di fedeli e turisti da tutto il mondo, rappresentando il vero simbolo di Milano. È considerata, per importanza e notorietà, la terza chiesa cattolica al mondo, dietro San Pietro in Vaticano e la cattedrale di Siviglia. Giungere in piazza del Duomo vuol dire restare ipotizzati dinanzi alla sua facciata. Questa è caratterizzata da uno stile gotico, in parte mitigato dal marmo bianco di Condoglia. Questo rappresenta una tipologia particolare ottenuta in una cava sul lago Maggiore.

La sua realizzazione vanta una storia molto lunga e complessa. Si tratta infatti di una delle chiese che ha impiegato più tempo al mondo per essere finalmente eretta e pronta ad accogliere fedeli. Basti pensare che i lavori ebbero inizio nel 1386, concludendosi soltanto nel 1800. Poco più di 400 anni per una delle opere architettoniche più affascinanti che l’Italia abbia da offrire. La sua costruzione venne avviata per volontà di Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano. Fin dalle fasi iniziali si decise che il Duomo sarebbe stato ricoperto di marmo bianco, considerando come la famiglia Visconti possedeva le cave di Condoglia, che donò i propri materiali di assoluto pregio alla Fabbrica del Duomo, che si occupò della costruzione e ancora oggi gestisce ogni tipo di manutenzione di cui la chiesa necessiti.

Superata la magnificenza della facciata del Duomo di Milano, si resterà ammaliati dai portali in bronzo, istoriati in altorilievo. Doppio portale per il lato centrale e poi uno per ogni altro. Su di essi è possibile leggere la storia della vita della Vergine Maria, la vita di Sant’Ambrogio, l’Editto di Costantino e la storia di Milano. Tra le tante curiosità del Duomo vi è una riga in bronzo che si avvia fin dall’ingresso. Seguendola, si avrà modo di notare svariate mattonelle adorate dai segni zodiacali. La loro disposizione è tutt’altro che casuale. Sulla parete sinistra è infatti possibile notare un calendario. Su quello destro invece c’è un preciso foro, ideato per lasciar passare la luce solare. Il sole infatti illumina di volta in volta i segni zodiacali, a seconda del mese dell’anno.

La chiesa vanta cinque navate, con quella centrale che è ovviamente la più grande. Grandi spazi e soffitto altissimo, il che si distanza in parte dal generale stile angusto delle chiese gotiche. Tantissime le vetrate istoriate, con scene singole che si incastrano in un racconto più ampio, se osservate in sequenza. Impossibile non soffermarsi particolarmente su quella dedicata al Giudizio Universale. Proseguendo il percorso all’interno della storica struttura, si arriva all’altare di Transetto, enorme e suggestivo. Alla propria sinistra invece si ammirerà il Candelabro Trivulzio. Si tratta di una gigantesca struttura a sette bracci, alto ben 12 metri. Realizzato nell’XI secolo da Nicola da Verdun, orafo francese. Venne donato nel 1562 all’arciprete Giovan Battista Trivulzio. Sulla destra si erge la statua di San Bartolomeo, facilmente riconoscibile per il fatto d’avere appoggiata sulla spalla la sua stessa pelle, essendo quello il suo martirio.

Si giunge poi all’altare maggiore, più alto rispetto al livello delle navate. Un’opera d’arte caratterizzata da un coro ligneo e due coppie di organi. Al di sotto dell’altare vi è una piccola chiesetta, che conduce all’ingresso al Tesoro del Duomo. Questo è caratterizzato da calici d’oro massiccio, mitre arricchite da gioielli preziosi e paramenti antichi. È possibile in quest’area apprezzare la magnificenza delle gigantesche vetrate dell’abside. Sono in tutto tre e rappresentano uno dei punti di maggior interesse per i visitatori. Al di sotto delle vetrate sono invece posizionati dei celebri sarcofaghi. I più importanti sono di certo quelli di San Carlo Borromeo, Gian Giacomo Medici e Ariberto d’Intimiano. Come detto, il Duomo vanta numerose curiosità da scoprire. Una delle più affascinanti è di certo quella del gigantesco sacco ancorato saldamente all’arcata. Occorre recarsi sul fondo della chiesa per apprezzarlo. Il suo contenuto è sconosciuto ma si ritiene, da secoli, che quello sia il sacco del Giudizio Universale. Cadrà soltanto nel giorno della fine del mondo.

Le guglie che caratterizzano e arricchiscono il Duomo di Milano sono ben 145. La loro realizzazione ha avuto inizio nel XVIII secolo ed è stata terminata nel 1858. Una vastità di strutture, con la più alta, eretta nel 1774, che ospita la celeberrima Madonnina. In molti, osservandola dal basso o da pochi passi, ritengono che questa sia d’oro. La realtà è però diversa. La statua è infatti ricoperta di fogli d’oro. Un’opera alta quattro metri e nota in tutto il mondo. Per poterla ammirare da vicino è possibile prendere un ascensore apposito. I più atletici invece potranno optare per la lunghissima serie di scalini. Uno sforzo ripagato dallo splendido panorama apprezzabile dall’alto.

Gallearia Vittorio Emanuele II

Galleria Vittorio Emanuele II è un luogo icona della città di Milano, che si affaccia sull’altrettanto famosa Piazza del Duomo. Amatissima da ogni milanese, tanto da essere definita il “Salotto di Milano”, la Galleria vanta nella sua storia molti primati. Ancora oggi è un punto di ritrovo per lo shopping ed il tempo libero sia per i cittadini, che per i turisti che la affollano ogni giorno.

La Galleria” è la mamma delle gallerie commerciali. Sull’onda della moda europea del 1800 di creare nelle grandi città dei passages, passaggi con copertura in ferro e vetro a carattere commerciale, anche Milano volle dotarsi della sua galleria coperta.

Se ne iniziò a parlare nel 1839, tra il 1859 e il 1860 vennero firmati tre decreti per rendere possibile i lavori e nel 1863 l’architetto Giuseppe Mengoni vinse il concorso per la realizzazione di una Galleria dedicata al Re Vittorio Emanuele II, che univa Piazza del Duomo a Piazza della Scala. Il Re pose la prima pietra il 7 marzo 1865. La conclusione effettiva dei lavori avverrà solo nel 1878.

Teatro della scala

È uno dei simboli culturali di Milano e tra i più prestigiosi teatri a livello mondiale per le sue vicende storiche, la sua meraviglia architettonica e per le opere che vanno in scena ogni stagione. Stiamo parlando del Teatro alla Scala di Milano.

La storia della Scala inizia con un incendio che devastò l’allora Teatro Ducale, sito dove oggi sorge Palazzo Reale. Maria Teresa d’Austria decise di farne edificare uno nuovo sull’area che un tempo ospitava la chiesa trecentesca di Santa Maria della Scala. Da qui il nome del teatro meneghino.

Il progetto fu affidato al noto architetto Giuseppe Piermarini, il quale realizzò diverse opere importanti per Milano e Monza. In due anni vennero terminati i lavori, e la Scala fu inaugurata il 3 agosto del 1778 con l’opera “l’Europa riconosciuta” di Antonio Salieri. In quel periodo quella che oggi conosciamo come piazza della Scala non esisteva, ma era un quartiere abitato da palazzi antichi, e proprio per questo motivo il Piermarini progettò il porticato.

Lo scrittore francese Stendhal lo descrisse come “il più bel teatro al mondo […] È impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo”. Seppure pensata come luogo immutabile nel tempo, tuttavia la Scala è stata modificata più volte nel corso delle diverse epoche.

Verso la fine del ‘700 alcuni milanesi vi praticavano addirittura il gioco d’azzardo: era uno spazio cittadino aperto, seppur quasi del tutto destinato a borghesia e aristocrazia. Successivamente venne abolito il palco reale con l’arrivo di Napoleone, mentre nel 1883 giunse in teatro l’energia elettrica. Nel 1893 la Scala venne chiusa dal Comune per le pressioni dei socialisti e venne riaperta un anno dopo grazie al patriota Guido Visconti di Modorone.

TORRE VELASCA

Nel 1950 lo studio BBPR riceve l’incarico di progettare un complesso polifunzionale di una cubatura eccezionale a poche centinaia di metri dal Duomo, su alcune aree devastate dai bombardamenti alleati, in base ad un mix di funzioni attentamente studiato per adeguarsi alla normativa che regola i finanziamenti statali per la ricostruzione. La realizzazione è possibile grazie ad una concessione che il Comune di Milano rilascia alla società Ricostruzione Comparti Edilizi S.p.A. per costruire una torre di altezza eccezionale in cambio della trasformazione di una parte delle aree in suolo pubblico. La Velasca diventa così un episodio isolato, in contrasto con l’idea corrente di grattacielo come tipo ripetibile: il profilo della torre svetta per un centinaio di metri come un unicum nello skyline milanese, con il dichiarato intento di ricostruire il profilo di una città che negli anni della ricostruzione sta aumentando l’altezza media degli edifici perdendo tutti gli elementi di riferimento: i campanili, le chiese, i grandi edifici pubblici.

Fin dalle prime bozze di progetto i BBPR delineano una torre in cui la parte superiore è più larga di quella inferiore, in funzione del fatto che le abitazioni (dal 19° al 25° piano) necessitano di una profondità maggiore del corpo di fabbrica rispetto agli uffici (dal 2° al 10° piano) e agli studi professionali con abitazione annessa (dall’11° al 17° piano). Le settantadue abitazioni della parte in alto, da due a sette vani più servizi, sono tutte dotate di veranda o terrazzo e sono attrezzate – secondo un modello che raramente trova applicazione in Italia – di tutti gli arredi fissi (armadi, cucina ed elettrodomestici) in modo che gli inquilini debbano provvedere soltanto ai mobili propriamente detti. Nelle fasi di ricerca iniziali s’immaginava una torre rivestita da un curtain wall vetrato, sostenuta da una struttura in acciaio, alla quale, in virtù di uno studio condotto da una società specializzata di New York, si preferisce una soluzione in cemento armato che consente di ridurre i costi di un quarto. La struttura, gettata in opera ed esibita con possenti costoloni rastremati che percorrono le facciate e si allargano in caratteristici puntoni di raccordo al diciottesimo piano, è calcolata dal professor Arturo Danusso. Il telaio strutturale è tamponato da pannelli prefabbricati in cemento e graniglia di marmo rosato disposti in maniera irregolare, «spettinature» – come le definisce Portoghesi – che sono «una riedizione più complessa della dialettica tra gabbia strutturale e involucro murario del razionalismo italiano».

Nel passaggio dalla soluzione in acciaio a quella in cemento armato è avvenuto anche un capovolgimento linguistico: da un progetto in piena sintonia con l’imperante International Style i BBPR passano a una soluzione che Pevsner giudica «Neo Art Noveau» e che suscita scalpore al Congresso dei CIAM di Otterlo del 1959 a causa delle membrature neogotiche, delle guglie terminali, del grande tetto a falde che copre il piano attico, dei richiami al profilo di una torre medievale. Più serenamente la Torre Velasca è da considerare un «omaggio a Milano» che cerca un vitale connubio, scrive Rogers, tra «le energie autoctone» e «le correnti che formano il patrimonio universale del pensiero» per offrire una visione meno dogmatica della modernità.